Sono tornata da un tre quarti d'ora da un incontro, una serata diciamo "letteraria" in Biblioteca dedicata tutta ad un meraviglioso romanzo: Cime tempestose (Wuthering Heights), il capolavoro di Emily Brontë.
Personalmente non ho ancora finito di leggerlo, l'ho abbandonato forse un anno fa non con un motivo in particolare, ma forse perchè ero troppo presa col liceo e lo studio, o con le cose di tutti i giorni, fatto sta che la mia lettura è congelata nel momento in cui la domestica Nellie comincia a raccontare la tormentata storia di Catherine e Heathcliff, i due eroi romantici.
Ricordo benissimo. però, la storia, grazie alla trasposizione televisiva della RAI con il bellissimo e bravissimo Alessio Boni e la meno brava Anita Caprioli (forse sono severa in questo giudizio perchè la sua recitazione è troppo enfatizzata, oppure semplicemente sono gelosa del fatto che lei abbia potuto recitare con un attore unico come Boni), che mi è rimasta impressa fino ad ora.
I luoghi, le ambientazioni "ai confini della dimensione umana", il tormento, la cattiveria, la vendetta, l'amore che fa odiare, un amore così sovrannaturale da non sembrare appunto un sentimento terreno, umano. Vi è qualcosa di più che una mera, naturale relazione: il rapporto che lega Catherine e Heathcliff è distruttivo, è pieno di rancore, e forse è in questo che loro dimostrano tutta la potenza del loro sentimento, facendosi del male, procurandosi dolore. Non viene risparmiato niente, l'unico modo che hanno per amarsi è tutto l'opposto, e tutto a causa, ancora una volta, della non accettazione del diverso, dell'emarginazione di chi viene da fuori, della gelosia, dell'invidia e dei pregiudizi.
Una signora, stasera, intervenendo dopo la brillante esposizione della professoressa che ha tenuto la conferenza, si meravigliava che una donna dell'Ottocento come la scrittrice, figlia tra l'altro di un pastore religioso, nata in una famiglia di stampo "puritano", potesse scrivere un romanzo pieno di sentimenti così violenti e prorompenti, di logoramento e di slanci così appassionati. Da parte mia, credo che proprio la solitudine possa aver giocato un ruolo non marginale: la fantasia aiuta ad immaginare cose che vorremmo accadessero, cose che non potremmo mai vivere se non in un sogno o fra le pagine di un libro...
Così anche Catherine, cresciuta con il padre e con il fratello maggiore, fondamentalmente sola, nel momento in cui Heathcliff entra nella sua vita, ella lo vede come una creatura aliena da cui è irresistibilmente attratta fin da quando era piccola, complici anche le di lui fattezze orientaleggianti. E piano piano, l'amicizia è diventata amore, fino a divenire completa, totale identificazione con lui, tanto che ella confessa a Nellie: "Io sono Heathcliff!"
Io credo non ci sia niente di più romantico di questo: il riconoscersi in un altro, rendersi conto che si è la stessa cosa, che non si può sopravvivere senza l'altro, nel bene e nel male; eppure, l'amore vero sopravvive alla vita, alla corporeità dell'esistenza, e vivrà per sempre, oltre la morte.
No comments:
Post a Comment